La qualità di imprenditore non può essere riconosciuta se l’attività svolta è un’impresa illecita, ossia contraria a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume (art. 2084 c.c.).
Un’impresa illecita può dar luogo al compimento di atti illeciti e validi e quindi può invocare tutela contro gli altrui atti di concorrenza sleale o i relativi creditori possono chiederne il fallimento.
Sono società però anche le società cooperative, la cui attività è caratterizzata dallo scopo mutualistico (art. 2511 c.c.) volto a realizzare un vantaggio patrimoniale dei soci in quanto tendenzialmente “opera per fornire beni, servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato” e non si può ritenere finalizzata al conseguimento di ricavi superiori ai costi.
La società a scopo consortile (S.c.a.r.l.), nel diritto societario italiano, è una società – qualunque tipo di società prevista dal codice civile italiano, escluse le società semplici – caratterizzata dal fatto di svolgere la propria attività perseguendo fini consortili.
Ci si chiede sempre se lo scopo di lucro sia necessario per la qualifica di imprenditore, ma la risposta è negativa, in quanto un’attività è impresa se e solo se è svolta con metodo economico con modalità che consentano quindi la copertura dei costi con ricavi.
La condizione di “funzione intermediari fra proprietari dei fattori produttivi e consumatori” induce a ritenere che la destinazione allo scambio della produzione di richiesta dal carattere professionale dell’attività d’impresa e quindi che l’impresa per conto proprio non sia impresa (risulta però più corretta la tesi per cui la destinazione al mercato non è requisito essenziale e quindi l’impresa per conto proprio è da considerarsi impresa a tutti gli effetti)